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Ieri, un 1° maggio insolito per tanti, me compreso, che da circa 10 anni, partecipavo - in principio da semplice spettatore e fruitore dell’evento, poi da protagonista attivo e propositivo, da cooperatore - al 1°Maggio Olbiese sui verdi prati del Parco Fausto Noce. Ieri, per ragioni che mi sfuggono - pur avendone letto qualcosa sulle testate locali e regionali - non abbiamo potuto ripetere la bella esperienza di popolo, di incontri, eventi culturali, tavole rotonde, giochi e animazione sociale, nella piacevole ed ospitale cornice del parco cittadino, come nelle precedenti edizioni svoltesi dal 2010 in poi. Sempre ieri un altro evento mi ha provocato e suscitato alcune riflessioni, che vorrei condividere con chi mi legge. Non presidiando come di consueto il gazebo della cooperazione laica ed indipendente, ho potuto partecipare alla messa in memoria di san Giuseppe lavoratore, da sempre proposta alle associazioni datoriali, ai sindacati e alle autoritร  pubbliche presso la Chiesa parrocchiale di san Michele Arcangelo, da don Theron e dal responsabile della Pastorale del Lavoro, ruolo attualmente svolto magistralmente da don Sandro Fadda. Anche qui, nonostante i vari inviti diffusi via social, la partecipazione รจ stata tutt’altro che numerosa: forse per le pessime previsioni meteo, forse per la concomitante inaugurazione della terza edizione della Fiera Nautica di Sardegna, nelle amene acque di Porto Rotondo, alla presenza di varie autoritร , in primis il nuovo assessore regionale al turismo. Insomma ๐˜‚๐—ป ๐Ÿญ° ๐—บ๐—ฎ๐—ด๐—ด๐—ถ๐—ผ ๐—ถ๐—ป ๐˜๐—ผ๐—ป๐—ผ ๐—บ๐—ถ๐—ป๐—ผ๐—ฟ๐—ฒ: ๐˜€๐—ถ๐—ฎ ๐—ป๐—ฒ๐—น๐—น๐—ฎ ๐—บ๐—ฎ๐—ป๐—ฐ๐—ฎ๐˜๐—ฎ ๐˜ƒ๐—ฒ๐—ฟ๐˜€๐—ถ๐—ผ๐—ป๐—ฒ “๐—น๐—ฎ๐—ถ๐—ฐ๐—ฎ” ๐˜€๐—ถa ๐—ป๐—ฒ๐—น๐—น๐—ฎ ๐˜€๐—ป๐—ผ๐—ฏ๐—ฏ๐—ฎ๐˜๐—ฎ ๐˜ƒ๐—ฒ๐—ฟ๐˜€๐—ถ๐—ผ๐—ป๐—ฒ ๐—ฐ๐—ฟ๐—ถ๐˜€๐˜๐—ถ๐—ฎ๐—ป๐—ฎ. Durante la sua appassionata omelia la domanda di don Sandro su chi avesse qualche conoscenza del ๐—–๐—ผ๐—บ๐—ฝ๐—ฒ๐—ป๐—ฑ๐—ถ๐—ผ ๐—ฑ๐—ฒ๐—น๐—น๐—ฎ ๐——๐—ผ๐˜๐˜๐—ฟ๐—ถ๐—ป๐—ฎ ๐˜€๐—ผ๐—ฐ๐—ถ๐—ฎ๐—น๐—ฒ ๐—ฑ๐—ฒ๐—น๐—น๐—ฎ ๐—–๐—ต๐—ถ๐—ฒ๐˜€๐—ฎ lasciava la platea ammutolita; chi vi scrive, astenendosi dal sollevare la mano per pudore, andava con la memoria all’esperienza fatta 40 anni prima, quando in un paese dell’interno, con pochi amici coraggiosi si dava vita in un centro culturale (realtร  ormai in disuso se non nelle grandi cittร ) proprio ad un percorso di approfondimento personale e diffusione pubblica, con fior di relatori, dei principali contenuti della dottrina sociale: dall'intervento di Leone XIII sulla realtร  socio-politica del suo tempo l'enciclica « Rerum novarum » alle tre grandi Encicliche — Laborem exercens, Sollicitudo rei socialis e Centesimus annus —, di Papa Giovanni Paolo II (oggi santo) che costituiscono tappe fondamentali del pensiero cattolico sull'argomento. Tutta questa premessa per dirvi della delusione e della preoccupazione crescente sia per le mancate occasioni di confronto e riflessione nell’immediato ma, soprattutto, per la sensazione del venir meno nelle comunitร  in cui viviamo dell’importanza di dedicare – almeno un giorno – ad una seria riflessione sul valore del lavoro. Certo, mi si puรฒ obiettare che della parola “lavoro” son piene le piazze, i talk televisivi, i provvedimenti del Governo, seminari e convegni. Ma in tali casi si tratta di norme, rivendicazioni, dati e numeri. Quando parlo del “valore del lavoro” intendo che mi piacerebbe sentire qualche voce che richiamasse al senso piรน profondo di questa espressione, cosรฌ come nelle encicliche di GPII Il lavoro รจ un bene dell'uomo _ รจ un bene della sua umanitร  _, perchรฉ mediante il lavoro l'uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessitร , ma anche realizza se stesso come uomo ed anzi, in un certo senso, «diventa piรน uomo» (Laborem Exercens) oppure secondo quanto sostenuto da Luigi Giussani «…il lavoro รจ l’espressione totale della persona […] in quanto l’uomo รจ rapporto con l’infinito, con l’eterno, col Mistero, […] allora il lavoro prende veramente tutto e tutte le espressioni della persona. Si chiama lavoro tutto ciรฒ che esprime la persona come rapporto con l’infinito. Perchรฉ per il muratore o il minatore i gesti che fanno, mettendo su un mattone o zappando un sotterraneo, sono rapporto con Dio: per questo devono essere rispettati, per questo devono essere oggetto di giustizia reale e di amore anche, e quindi di aiuto» (L. Giussani, L’io, il potere, le opere).
La mia vita, soprattutto quella professionale รจ stata – da subito – orientata e alimentata dal dare credito a questi concetti, ascoltati nel tempo della giovinezza, quando il cuore non รจ ancora incrostato dai sedimenti del cinismo, della rassegnazione, dell’opportunismo, dall’indifferenza apatica dell’etร  adulta. Fra gli scritti piรน intensi e suggestivi, fonte di continua ispirazione, e sostegno nei momenti di crisi (quando ci si sente non valorizzati nella professione o quando agli sforzi non corrispondono adeguati risultati) ho sempre avuto presenti le parole di un noto brano di Peguy, il quale in un suo famoso saggio, L’Argent, la modernitร  รจ rappresentata dal denaro: oggettivo e spersonalizzante, esclusivamente relazionale, potente e debole allo stesso tempo. Il denaro รจ staccato dal lavoro e separato dalla terra, diventando inquieto e agitato, sradicato. Ma, oltre alla critica su concetti economici quel che mi ha sempre appassionato รจ quella parte della sua opera che segna la distanza dal concetto di lavoro che si esprime per la maggiore nelle disquisizioni odierne. La distanza del nostro tempo distratto dalla descrizione del lavoro cristiano: «Un tempo gli operai non erano servi. Lavoravano. Coltivavano un onore, assoluto, come si addice a un onore. La gamba di una sedia doveva essere ben fatta. Era naturale, era inteso. Era un primato. Non occorreva che fosse ben fatta per il salario, o in modo proporzionale al salario. Non doveva essere ben fatta per il padrone, nรฉ per gli intenditori, nรฉ per i clienti del padrone. Doveva essere ben fatta di per sรฉ, in sรฉ, nella sua stessa natura. Una tradizione venuta, risalita dal profondo della razza, una storia, un assoluto, un onore esigevano che quella gamba di sedia fosse ben fatta. E ogni parte della sedia che non si vedeva era lavorata con la medesima perfezione delle parti che si vedevano. Secondo lo stesso principio delle cattedrali». (Peguy, L’Argent).
Ritornando al valore delle riflessioni proposte dalla Dottrina Sociale, posso affermare senza timor di smentita che รจ lรฌ che รจ germogliata in me l’attenzione al fenomeno cooperativo, a quel ruolo del movimento cooperativo come venne fortemente riproposto nella sua veste originale di protagonista imprenditoriale quale “terza via” nello sviluppo economico del paese, o piรน semplicemente come alternativa sia al capitalismo privato che al sistema delle pubbliche imprese come venne affermandosi fra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ‘80. Dopo questa – forse noiosa - dotta dissertazione, ricca di citazioni importanti, ritorno alle ragioni per cui ho deciso di seguire l’impulso a scrivere, condividere e proporre queste riflessioni: perchรฉ il 1° maggio – e quindi una concezione alta del lavoro - sta perdendo attrattiva, nella partecipazione e nei modi nei quali porvi la giusta attenzione ai valori da esprimervi? Perchรฉ, ad Olbia, ci siamo rassegnati a rinunciare a questo evento che nelle scorse edizioni aveva dato prova di essere forte momento di coesione fra parti sociali di diversa ispirazione politica, economica e civile? Forse tale decisione รจ stata il frutto di qualche scoria della recente campagna elettorale per il rinnovo del Consiglio Regionale della Sardegna? Sarebbe una ben miope rivalsa, un'occasione mancata. Ma, al di lร  dei localismi sul tema 1°maggio e lavoro, sconforta l’assenza di dialogo e di confronto sulle ragioni profonde perchรฉ, TUTTI, dovremmo aver a cuore far crescere una coscienza collettiva di maggior impegno a ridare dignitร  a queste tematiche, fondamentali per la vita di ciascuno di noi che – mediamente – trascorriamo un terzo della nostra giornata a svolgere un mestiere o una professione, senza dimenticarci di coloro che in assenza di occupazione, oltre a non poter progettare il proprio futuro in termini di sviluppo personale, creazione e/o mantenimento di una famiglia, realizzazione dei propri talenti – innati o frutto di studio e formazione – non possono aspirare alla realizzazione di tutta la propria umanitร . In conclusione faccio mie le recenti parole del Presidente di AGCI Giovanni Schiavone che aggiunge: “Il mondo cooperativo partecipa a questa ricorrenza storica con le carte in regola essendo uno dei sistemi virtuosi del nostro Paese che genera lavoro e occupazione. Obiettivo questo che va sostenuto per contrastare la disoccupazione e la precarietร  per conseguire benessere, giustizia sociale con riduzione delle diseguaglianze.” Filippo Sanna direttore AGCI Interprovinciale Gallura Nuoro

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